"Le parole sono di chi legge", appartengono al lettore, anche correndo il rischio che il loro senso più profondo e autentico venga travisato. Onofrio Capurso, come tutti i poeti, appare sospeso tra l'autenticità del proprio dono e quella sottile gelosia che si aggrappa a versi sentiti come propri, unici, talmente intimi da essere squadernati per rimirarsi in essi con un filo di narcisismo. La "marea placida della sera" si estende fino "ai confini dell'alba", volteggiando tra stelle e panorami dalle tinte pastello, che narrano l'oggi con il rispetto e la devozione dovuta al "sacro" che ancora trasmettono "gli avi". L'amore però annichilisce ogni memoria, proietta inevitabilmente verso il futuro e la distanza tra due corpi e due cuori che si cercano è misurata dalle braccia che avvolgono l'altro o l'altra. La vita, d'altronde, è amore allo stato puro, che genera quella bellezza. In sua assenza si svuota di tutto, come un'agenda di lavoro priva di appuntamenti.