Come tutti i veri poeti, Giuseppina Biondo rimane un mistero a noi e a se stessa: una figura mitologica, un enigma che nessun Edipo sa risolvere, neppure un Edipo attuale capace di algoritmi e di ogni astuzia tecnologica. Il poemetto che è nel cuore del libro e che gli dà il titolo è altrettanto misterioso: visionario, audace, simbolico, realistico, onirico, ossessivo, mette in scena una fuga: «Poi un sogno cantato, / saltando nel vuoto, / inseguita da una pantera»... Dopo il poemetto intitolato La contadina, la parte seconda del libro, quella intitolata Metamorfosi e distrazioni, prosegue con una serie di poesie brevi, che hanno la misura dell'haiku, talvolta perfetta, ma spesso sono intrise di una sensibilità combattiva, occidentale, e con alcuni testi più lunghi e complessi, tra cui spiccano Il pianto della fenice, una invocazione domestica, familiare, in un linguaggio in cui trovano posto persino le «pennette» da cuocere, assieme allo spirito di rinascita della Fenice stessa, e Il verso del drago: una poesia decisiva per capire da dove nasca l'ispirazione dell'autrice e a quali fini tenda. (Dalla Prefazione di Giuseppe Conte)