Questa è una poesia che non può che nascere in dialetto, dentro la densità materica del dialetto e del mondo che il dialetto rappresenta. Tant'è vero che le traduzioni in lingua non possono affatto reggere il passo della poesia originale; sono necessarie, per rendere accessibile il testo ai lettori, e tuttavia appiattiscono la parola della poesia, la volgarizzano, potremmo dire con un gioco di parole; soprattutto in questo libro, in cui il filo conduttore è l'erotismo, la sessualità, i concretissimi organi sessuali, che detti in italiano scendono inevitabilmente verso la più trita rozzezza, e che invece in dialetto offrono una ricchezza, una varietà tanto lessicale quanto esperienziale piuttosto straordinarie. L'amore, dunque, inteso nella sua più concreta carnalità, come unica strada da trovare e percorrere per affrontare l'ostilità del mondo; questa è forse la scintilla di verità che si sprigiona in questo libro, in cui l'autore dissimula la sua cultura e il suo pensiero, si traveste da giullare, sfida il politicamente corretto, in nome di quell'amore/pane da spezzare, nevrosi e speranza, vertigine ultima.