"Entrati nel libro dalla porta della perdita, non ce ne usciamo evadendo dalla finestra. Il lutto attraversa le pagine in modo asincrono [...] perché pezzo per pezzo lo ritroviamo dentro di noi, mentre pezzo per pezzo, diceva Freud, ci rendiamo conto che non è più con noi [...]. Viaggio nostalgico della solitudine, il "no proprio no", l "anziché" della desolazione, la poesia di Luigi Maria Sicca alla fine si rivela a se stessa." (Dalla Introduzione di Sarantis Thanopulos). "ma il tempo qui narrato e il cadenzare ritmico della narrazione lasciano scivolare queste poesie una dopo l'altra, una dentro l'altra in una sorta di metro musicale in cui il significante non rimanda necessariamente a un significato, se non come può accadere appunto nella musica strumentale, nella musica senza parole, come Hanslik ci ha definitivamente insegnato, in "Il bello musicale". Questo voglio qui sottolineare ascoltando i versi scritti da Luigi Maria Sicca." (Dalla Prefazione di Francesco D'Errico). "Ad tempo taci anche per capire quando il silenzio deve coprire la parola, darci la forza di consumare il dolore, negarci quello che di dolce la malinconia ci regala, ritmicamente avanzare per tentare, invano, di afferrare brandelli di verità. In queste pause silenziose, a volte nervose, a volte affrante, a volte ironiche, Sicca ci fa immaginare dei mondi, orizzonti d'attesa che spesso vengono spezzati da tempeste o da semplici gesti quotidiani. A volte sembra quasi di ascoltare il rimbombo delle eterne parole di Agamennone sulla vergogna [...], perché i superstiti che lasciamo sono più numerosi dei caduti." (Dalla Postfazione di Franco Pavan).