Chi non ha paura di perdersi nella nebbia fitta, di smarrirsi, restar solo e, nel subconscio, passare dritto all'altro mondo? Inaspettato, astratto e fisico, questo è un ritorno alla narrazione per Stefano Scansani, che con «Nebbie», quattro racconti lunghi più un'introspezione, compie un salto a ritroso, nel vuoto acqueo della nebbia. Quest'opera, declinata con l'intonazione del giallo, dell'assurdo, del grottesco, del surrealismo valpadano, è lo sviluppo necessario del manuale mito-meteo "La fabbrica della nebbia" uscito nel 2009. In quell'anno Festivaletteratura di Mantova propose un percorso notturno a Palazzo Te, sulle tracce liquide del suo testo. Stavolta, attraverso una sorprendente topografia di uomini, donne e diverse densità di brume, l'autore affronta il senso abissale della nebbia e il disorientamento che combina. Rielaborando le memorie di quando le nebbie davvero c'erano, ci fa scoprire che lo spray della pianura ha un suo parlare, un suo mangiare, una sua paura.