Addis Abeba, 1937. Vittorio Gargano non ha mai visto tanto sangue in vita sua. È ovunque, tinge di rosso l'acqua dei fiumi, da cui affiorano i cadaveri come pesci avvelenati. La rappresaglia per l'attentato al viceré d'Etiopia, il generale Rodolfo Graziani, è un'apocalisse: soldati e civili italiani uccidono, stuprano, incendiano. Furiosamente. Quelle ore di morte plasmeranno il futuro di Vittorio, camionista al servizio del Regio Esercito, della famiglia che formerà. Di Arturo, il figlio che ancora deve nascere. Milano, 2018. Arturo Gargano, settantacinque anni, e Tobia, sedici ancora da compiere, non hanno scelto di trascorrere del tempo insieme: il ragazzo è stato affidato ai servizi sociali per aver commesso un grave atto vandalico e l'anziano ipovedente è la sua attività socialmente utile. Nella casa, tuttavia, ci sono altre presenze. Fatima, una donna eritrea colpita da un grave lutto che si dedica alla cura degli altri; Lilit, amatissima e perduta, che solo gli occhi opachi di Arturo possono vedere; l'Africa, il luogo da cui tutto è cominciato, viva più che mai nell'eredità di una memoria impastata di dolore, colpa, vergogna, nostalgia. Giorno dopo giorno Arturo si racconta come un fiume in piena e Tobia, adolescente in cerca di sé stesso, ascolta forse per la prima volta nella sua vita, ignaro di ciò che questo comporterà. Così, il passato dell'Italia coloniale raggiunge attraverso le generazioni il presente, portando alla luce verità sepolte nelle storie private di due famiglie, quella di Arturo, ma soprattutto quella di Tobia e Agata, sua madre, che per professione studia proprio la Storia pubblica di quegli anni oscuri. Quella Storia che, come ogni altra epoca che l'ha preceduta e che seguirà, si consuma sul corpo delle donne, mentre nessuno guarda. Ora quel tempo è tanto lontano che Arturo dubita di averlo vissuto davvero. Se rivedesse il sé stesso di allora, domanderebbe incredulo: davvero tu sei me? Io sono te? E la ragazza del villaggio è davvero Lilit, la mia Lilit?