Un anno di racconti, uno al giorno, scritti in levità, eleganza e precisione. E non si tratta di bozzetti o prosa d'arte, sono racconti con persone e vicende appuntate su paesaggi e interni definiti, discreti, mutevoli come la vita ritratta nei film di Yasujirô Ozu. Sorprendentemente si leggono come capitoli di una saga che contiene le nostre esistenze messe allo specchio, guardate da fuori, con effetto straniante come Short Stories saldamente inserite in una tradizione che risale al mondo classico e arriva al "Gaspard de la Nuit" di Aloysius Bertand, alle "Epifanie" di Joyce, passando per le "Centurie" di Manganelli, spingendosi fino agli esotici "Racconti in un palmo di mano" di Kawabata o alle "Piccole storie senza morale" di Alfred Polgar, per finire alle "Microfictions" di Régis Jauffret. Ma forse, anche se in forma bonsai, il modello più vicino a "Congedo delle Stagioni" è la prosa tersa del "Sillabario" di Parise, schedario delle nostre ore difficili o dimenticate, colte nel momento preciso in cui ci rivelano a noi stessi e agli altri, nella luce cruda di ciò che siamo e facciamo.