"Lettore irredento, se tu sei uno di quelli che aspettano ancora il capolavoro, ho qui per te uno scrittore altrettanto idiota che si è messo in testa di scrivere un capolavoro." Questa frase, pronunciata dal Gatto, l'editore che prende la parola all'inizio del romanzo, è la descrizione più efficace per un libro che resiste a ogni riassunto e per l'impresa che Antonio Moresco ha compiuto scrivendolo. Tutto prende avvio dal rapporto fra l'editore, appunto, e l'autore che per lui sta scrivendo un romanzo. Ma presto le vicende dei personaggi e quelle del romanzo in lavorazione si mescolano e si confondono, travolgendo chi legge in una vertigine centrifuga ed esplosiva, in cui la narrazione procede per valanghe che sembrano prefigurare i differenti livelli di un multiverso. La scrittura di Canti del caos esige dal lettore la disponibilità ad abbandonarsi, a farsi attraversare da eventi estremi e disturbanti. Ma è una disponibilità che viene ripagata, e negli anni questo libro è diventato una vera e propria opera di culto per quanti, soprattutto fra i giovani, hanno saputo riconoscere, dietro l'oltranza, il fascino commovente della delicatezza ferita. Canti del caos è un'opera ardita ed esorbitante, un oggetto alieno nel panorama della letteratura italiana contemporanea, come dichiara il prestigioso blog The Untranslated: "Se Ulisse rappresenta l'apice del modernismo e L'arcobaleno della gravità l'apice del postmodernismo, Canti del caos è la grande novità per la quale ancora non abbiamo un nome".