Ha ragione Sepúlveda: "L'unico vero patrimonio di un artista sono i ricordi dell'infanzia". Infatti Damiani in queste pagine di ricordi ne rievoca tanti. In punta di penna con dorata affabulazione. Anni Cinquanta, la guerra è finita da poco. I protagonisti hanno subìto senza infliggere. Si tenta di riannodare i fili di esistenze piccole ed eroiche con la grazia di una fisarmonica e la leggerezza di uno sguardo, l'ironia di una favola. Sono tracce di cose accadute o che accadranno, velate dalla malinconia di un tempo che è passato, rinvigorite dalla speranza che illuminerà il dopo. I tempi cambiano e con i tempi paure e aspettative. Un rapido susseguirsi di vicende, il giovane Lelluccio cerca a tentoni la sua strada. Una favola innervata nella realtà di più esistenze, grazie a una serie di piccole avventure di godibile ironia. Una scrittura che dice di affetti e tenere nostalgie, nate dallo spartito di una fisarmonica in un luogo dell'anima. Nel giardino di re Giacchino.