«Io e Hutch eravamo diversi anche per come stavamo assorbendo le novità dell'epoca. Gli echi della swinging London ci eccitavano: in particolare, Hutch si mostrava molto entusiasta dei valori della controcultura nascente: da buon romantico, il rock era per lui il modo ideale per esaltare il mito del fanciullino, innocente e perfetto. Hutch si definiva "non meritevole" ed era spontaneista: era trasgressivo e agognava il ritorno a un mitico Stato di natura. Ovvio che guardasse ai movimenti hippy con enorme interesse. Io ero più conformista e progressista ma ero ossessionato dal "limite" e nel rock vedevo la dilatazione di ogni canone: mi interessava la "visione", ma anche l'ipnosi terapeutica, il desiderio sottinteso di vita, di quell'urgenza che non sapevamo definire ma che ci rendeva, nella realtà, sempre insoddisfatti e inquieti di verità. Tutto ciò che rappresentava questa tensione, per me, era arte. L'emozione che cercavo non era semplice, era una sorta di intrigo mentale che mi corrispondeva specificatamente nella musica». Romanzo finalista al Faraexcelsior.