Le parole che ci accompagnano nell'infanzia, che veicolano le carezze, le sgridate, le prime scoperte della vita, non dovrebbero mai essere dimenticate. E, ancora di più, non dovremmo mai e poi mai vergognarci di quelle parole, perché parlano di noi (e noi parliamo di loro) più di ogni altra parola che potremo apprendere in seguito, a scuola, sui libri, al lavoro. È da questa premessa che nasce l'urgenza di raccontare una terra attraverso le sue parole in modo da formare una geografia linguistica, che sfocia nella cultura di un popolo e di un territorio, che si fa concreta e diventa sostanza. «Le parole ci sembrano fisse, ben chiare, ancorate al loro significato. Ma non appena guardiamo alle loro spalle, non appena le spogliamo un po', e le accarezziamo, ecco la magia. Il profumo che emanano, la morbidezza del loro intimo, e la profondità dei loro sguardi... Non puoi più dire di conoscerle, e ti sfuggono, sono straniere, misteriose... Dannazione, le parole sono donne!»