"Perché sono da sempre un corso d'acqua" è un romanzo che non assomiglia a nessun altro, è il racconto di tutte le nostre esistenze. Quando sua nonna comincia a perdere la memoria, Kim cerca di riempire i silenzi scavando nei ricordi dell'infanzia, finendo in balìa di un'infinita rabbia e di una terribile tenerezza. Le famiglie sono così: nascondono e sotterrano, deridono e feriscono ma allo stesso tempo cullano e proteggono. Per cambiare la propria storia bisogna prima di tutto conoscerla e per questo Kim decide di ricostruire il suo albero genealogico. I rami della sua storia famigliare brulicano di corpi femminili, che hanno assunto forme diverse e hanno indossato vite che non corrispondevano alla loro perenne tensione verso la libertà. Kim deve iniziare a guardare sotto le ferite evidenti, sotto quelle celate, quelle ereditate e lasciare che finalmente il dolore sgorghi, come un'alluvione che cambia le sorti di quello che investe. Tutti cerchiamo da sempre un modo per parlare di noi e di quello che portiamo scritto nel sangue, pur sapendo che non è sufficiente la lingua di tutti i giorni per dire l'indicibile. È necessario inventarsi un linguaggio nuovo per raccontare la sostanza di cui siamo fatti: una lingua ma(d)re. Una lingua che «è gocciolare, cadere, confondersi, scorrere, radicarsi, fluire». Perché questa è la magia dei racconti: saper tessere la presenza dall'assenza. Una volta imboccata la strada della ricostruzione, tornare al punto di partenza è impossibile. Nella chiusura del cerchio la linea finale manca di qualche millimetro la linea iniziale e quella che sembrava una forma perfetta è in realtà piena di spigoli smussati, come un corpo non conforme.