Nafa Walid, ventenne bello e affascinante della casbah di Algeri, dopo una parte da comparsa in un filmetto, sogna di diventare un attore e di strapparsi così alla condizione di anonimato che il suo ambiente familiare gli promette. Crede di aver trovato il modo di infiltrarsi tra la bella gente accettando un posto di autista per la famiglia Raja, un clan appartenente allo strato sottile di ricchissimi e potentissimi che dominano il paese. Si rende presto conto, nonostante il suo stato economico sia migliorato, di non essere considerato che uno schiavo, umiliato in ogni occasione; e che i suoi padroni sono solo persone volgari e fortunate, convinte di essere una razza superiore. La sua rabbia e il suo odio aumentano fino al giorno in cui il giovane signore, che lui serve, lo costringe a coprire un atto di disumana e indifferente cattiveria; allora piomba in una desolazione profonda, un'apatia totale da cui lo solleva, come una sorta di rivelazione, «il richiamo del muezzin, un segno del Cielo». Inizia a frequentare la moschea, avverte la solidarietà dei fedeli intorno a lui, «che non ero più solo». Ma qualcuno lo suggestiona a sentirsi, più che un semplice credente, un risuscitato, un predestinato, un eletto, e che le umiliazioni, e anche l'odioso delitto da cui è passato, sono le tappe di un cammino superiore: «Dio ti ha condotto dove volevi arrivare. Per illuminarti». Ma questa è la via per arrivare a diventare un combattente feroce e uno spietato assassino. La vicenda di Nafa - sullo sfondo dell'affermazione democratica del Fronte Islamico, la successiva repressione e, nell'Algeria anni '80-90, il diffondersi del fondamentalismo - racconta come, in una successione inevitabile, nasce un terrorista. E, attraverso l'esempio di un dramma sociale che diventa esistenziale, rappresenta l'immagine perturbante di una fede privata dell'attributo della pietà.