La scrittura di Gherardo Bortolotti si muove in quel terrain vague posto tra prosa e poesia: più precisamente, maneggia la prosa con gli strumenti della poesia. Il risultato è una fiction implosa, che si sottrae agli inganni della mimesi, popolata da personaggi frammentari e frammentati, dentro scenari che si potrebbero definire, parafrasando Perec (autore amato da Bortolotti), infra-apocalittici. Nonostante l'evidente riuso di un immaginario fantascientifico, il mondo straniato che vediamo dentro questi libri è comunque il nostro presente catastrofico, senza nemmeno una consolazione: l'imperfetto che caratterizza questa scrittura designa infatti, come ha scritto Andrea Cortellessa, «la perdita di qualcosa che non si è mai posseduto». E in questa capacità di guardare freddamente le macerie del futuro, di un mondo che avrebbe voluto essere e non è stato, sta tutta la densità politica di questa scrittura, che è davvero una scrittura senza paragone.