Raccolgo un bastone, tocco il pesce, lo rivolto. Nelle sue tinte marezzate è meraviglioso. "Che pesce è?" chiedo a mio padre. "Una trota? Ma le trote non hanno questi colori e non sono così grandi." "Questa è una trota marmorata. Sono le più rare e le più grandi, pesano anche più di dieci, dodici chili. Deve essere venuta su dall'Adige nel canale per scappare dalle bombe al fosforo." "Io la porto a casa, c'è da mangiare per tutti!". "Tu non porti a casa un bel tubo: è avvelenata, non si può mangiarla!" Siamo pochi giorni prima della fine della Seconda guerra mondiale, simboleggiata dalla grande trota marmorata uccisa dalle esalazioni del fosforo, vista con occhi incantati, stupefatti da un "Pierino" sfollato ad Aldeno. Renzo Francescotti, a differenza di tanti altri, non ha mai scritto niente di autobiografico: questo "Un Pierino trentino" è invece un "romanzo autobiografico a racconti", con i bombardamenti e i partigiani ammazzati, il dopoguerra con il pascolo a Pedersano delle capre di sua nonna, a piedi scalzi per farsi accettare dalla tribù locale, le scazzottate con la tribù di Zuclo dove le donne vanno intorno vestite come monache, un ragazzo che cresce guardando alla realtà con pena e ironia, che quattro volte è in punto di morte ma ne riemerge giocosamente. Sino ad entrare nel modo degli adulti attraverso il dolore intollerabile della morte di suo padre.