Come già accadde per "Il libro dell'ora", le voci di Enrica Salvaneschi e di Silvio Endrighi s'intrecciano senza volersi distinguere: non che all'una competano i versi, all'altro la prosa; all'una il saggio, all'altro il racconto, o viceversa. Vale invece la pretesa di proporre l'androginia di una reciproca aemulatio che approdi all'inventio, nella quale maschile e femminile esistano solo come reificazioni superate e in qualche misura ingenue: quasi biondo e bruno, iperboreo e meridiano, umile e sublime, e via opponendo. Ma, oltre questo dato di base, le cose si complicano in ognuno dei titoli volta per volta presentati. Come vien detto nell'incipit, l'auctoritas vera e propria appartiene a Lino, di cui E.S. e S.E. sono in qualche modo portavoce ed esecutori più o meno riottosi. Lino, che nacque con Rosalba nell'Eremo libertino di S.E., a sua volta decantazione dei Giardini ospitali di E.S., percorre su e giù le strade del mondo: raggiunge il personaggio mitico, si incarna in persona del nostro tempo. Il titolo primo nasce intorno al nucleo semantico del "restare", quale esito inopinato del classico, e mistico, "diventa quello-che/chi sei".