La notte tra il 5 e il 6 aprile 2009 Chiara posò lo sguardo sui letti. Il suo era vuoto. Livio, il figlio di tre anni, si era staccato dalla sua protezione per raggiungere il fratello, che era andato a stringere mosso da un atavico legame. Il marito e i due bambini erano nel letto matrimoniale. Lì, a un passo da lei, in quei due metri quadri, c'era tutto il suo mondo, contemplato nell'attimo di assoluto silenzio tra un movimento della lancetta dei secondi e il successivo, che però non fece in tempo ad arrivare. Un fragore assordante squarciò la notte e il suolo. Sotto i piedi di Chiara si aprì una voragine che inghiottì lei e loro. Onna, in provincia de L'Aquila, era finita quasi interamente sotto terra. Chiara, murata viva tra le macerie, non sentiva il suo corpo. Non sentiva le voci che cercava con quel che le restava del cuore, quelle della sua famiglia. Sentiva solo la sua di voce, pur non distinguendo se la percezione fosse uditiva o spirituale. «Sant'Antonio!». Ma Sant'Antonio non bastava. Sapeva che doveva rivolgersi più in alto e bussò alla Sua porta chiudendo ancora gli occhi, lentamente. Il tempo di rivedere la propria vita, perché prima di uscirne, e in quel momento seppe che è davvero così, la vita ti passa davanti in un ultimo infinito istante. Un istante lungo un libro, quello del dottor Paolo Di Bartolomeo, direttore del Centro Trapianti Midollo Osseo all'ospedale di Pescara, che racconta la vicenda di Chiara, la quale, prima del sisma, era sprofondata nella voragine di un tumore del sangue da cui era uscita aggrappandosi alle cure del medico. Un istante di trentadue capitoli che non ripercorrono solo la storia di Chiara, ma anche quella di altri pazienti sottoposti a trapianto di midollo osseo che si intrecciano nel romanzo della Vita, che, come scrive Proust, «contiene situazioni più interessanti, più romanzesche di tutti i romanzi».