Un libro che uccide. Una vittima innocente. Uno scrittore tormentato. Sono i perni di una vicenda ambientata in una città messicana nei primi anni '50 che mette in scena un ampio campionario antropologico - dal dotto professore-libraio al losco giornalista, dal potente governatore al saggio bambino lustrascarpe, ai patetici mariachis - e misteriose, elusive presenze. All'origine c'è il terribile annuncio dato dallo sconosciuto Ramón in una lettera a Fabio O., l'autore del romanzo inneggiante alla purezza che l'ha folgorato: «Quando si è coscienti della propria sporcizia, si va a lavarsi. Io vado a lavarmi; non voglio più vivere. Vivere sarebbe sporcarsi sempre di più...». Vana è la corsa di Fabio per fermarlo: al suo arrivo sulla scena, il teatrale martirio del ragazzo - circondato di fiori bianchi, un crocifisso sul petto - si è già compiuto. E subito inizia per lo scrittore un assillante rovello: come può accadere che, nelle mani di un ingenuo lettore, il limpido messaggio di virtù e ordine del suo libro venga stravolto così, che un'opera intesa al Bene causi direttamente il Male, concretato nella morte fisica? È inspiegabile. A meno che qualcuno trami nell'ombra... Ma perché? Cui prodest? Seguendo il filo contorto di un insensato ricatto, tra una moltitudine di segni ambigui, strani incontri e apparenti divagazioni, Fabio riuscirà a condurre in porto la sua indagine, fino a una duplice spiazzante soluzione. Geometrico e allusivo come un film noir dell'epoca, "Un suicidio" adombra - trascendendola in un immaginario giallo filosofico - la vera e dolorosa storia degli eventi legati alla pubblicazione dello «scandaloso» Fabrizio Lupo, il romanzo di Carlo Coccioli che osò rivendicare la dignità dell'amore omosessuale. I brani del suo Journal, presentati in appendice in traduzione italiana, ne illuminano gli oscuri retroscena omofobici.