Tra i tanti aforismi raccolti in questo libro c'è un calembour che dice "mi sento un flaianeur": si tratta di un sincero omaggio allo scrittore Ennio Flaiano, maestro insuperato di questo genere letterario, e al flâneur, l'osservatore disincantato e curioso che contempla, preferibilmente passeggiando, ciò che i suoi sensi percepiscono in modo spesso causale. Ed è forse così, passeggiando e muovendosi senza una meta precisa, che pensieri di vario genere arrivano alla penna dell'aforista. Attraverso la mediazione di una mente ospitale, che non esclude nulla e fiuta il lato meno visibile delle cose, egli prova come un rabdomante a raccogliere, a catalogare, a dare ordine a un materiale informe, salvo poi rassegnarsi malinconicamente alla mancanza di un sistema e di un disegno globale. Se c'è un senso, non sta nel tutto, ma tra le parti, in quello spazio bianco che non è ancora stato riempito, nelle righe che separano un aforisma dall'altro. Da qui l'importanza del detto e del non detto, della parola scappata o appena sussurrata e di quella trattenuta nel silenzio, del chiaro e dello scuro, del pieno provvisorio e del vuoto carico di possibilità e di fibrillazioni. Ci sono poche cose che non si possano dire con l'aforisma, ma tutto quello che sarà detto dovrà avere sempre il carattere della leggerezza e della volatilità. E alla fine si rimane sempre con un pugno di matite.