"Credevo che il mio libro più sofferente fosse "La malattia chiamata uomo", perché è una confessione pubblica, una esibizione delle proprie miserie e dei propri fallimenti, ma col senno del poi devo ammettere che il libro che mi costa di più è questo, "La donna dei fili": le donne cominciano a leggerlo con ostilità e finiscono con rancore. M'è capitato di trovarmi al cinema, nel buio, e di sentire dei passettini arrivare dietro di me, erano due spettatrici in ritardo, si sistemano alle mie spalle, e svolgono questo dialoghetto: "M'hai riportato il libro di Camon, La donna dei fili"?, "Sì, dopo te lo do", "Che te ne pare?", "Non capisce proprio niente". Sono uscito prima che si riaccendessero le luci. La mia opinione è che quelle lettrici si aspettassero il racconto di un'analisi femminile intellettuale o intellettualoide, ammiccante, complice, che strizza l'occhio alle lettrici e se le fa amiche. Invece è, o cerca di essere, un racconto esplorativo, che scende nell'inconscio femminile come in un buio dove due righe prima non vedi due righe dopo, un racconto dove chi ascolta si sorprende di quello che sente, e quello (quella) che parla si sorprende di quello che dice."