"Favole del tramonto" le ha chiamate l'autore, motivando nella nota introduttiva l'incantesimo amaro e ironico da cui provengono. Favole brevi, talora di fulminante brevità tipografica, eppur sempre lunghe concettualmente quanto il tempo che le collega a Esopo e Fedro per ricondurle in ciclico percorso - tappa obbligata, Svevo - al luogo del travaglio ove son nate, nella culla del terzo millennio. Un Camilleri "diverso"? Un Camilleri "segreto"? Non tanto, ci sembra; non tanto, almeno, quanto potrebbe a prima vista apparire. Perché anche queste sorprendenti favole non sono in fondo che indagini impietose e commosse insieme - sulla condizione dell'uomo, medesimo oggetto delle inchieste di Montalbano. In perfetta simbiosi, questa volta, con le "immagini" di Angelo Canevari che le suggestioni del testo illustrano "plasticamente" (l'avverbio qui congiunge metafora e materia) nella onirica dimensione dell'arte.