Siamo nel 1983, a Chihuahua. Adelita ascolta i racconti del nonno materno, il suo abuelo: li ascolta con la partecipazione incantata che è dei più piccoli quando stanno scoprendo il mondo, e insieme al mondo scopre anche un pezzo importante della sua storia. Quello di Adelita è un ascolto tanto più importante perché le informazioni che riceve a scuola sono opache e contraddittorie e hanno bisogno di una voce più trasparente, più vicina al cuore delle cose e degli eventi. Parral, 1916. Pancho Villa è ferito, nascosto in una grotta nel deserto. L'abuelo, che allora è ancora il piccolo Dieguito, gli porta regolarmente il necessario per vivere, a rischio di essere catturato. Dieguito si muove lesto e attento. Sa tener testa ai gringos, e sa di avere una missione importantissima da compiere: assicurare a Villa, che i suoi uomini cercano di far credere morto, una nuova esistenza. Tante sono le domande di Adelita e tutte confluiscono in fondo in una sola: chi è Pancho Villa, anima di un Messico quasi dimenticato? L'abuelo racconta, e più racconta, più agita intorno alla figura del condottiero un sentore di leggenda e di speranza che tuttavia coincide con un ben più palpabile destino di giustizia sociale. Adelita ha assimilato, è cresciuta ed è diventata una voce amata, nella tradizione di cantanti memorabili come la grandissima Chavela Vargas: quasi distillasse in sé le parole di Dieguito e la memoria del Messico rivoluzionario, canta davanti a un pubblico che la adora e, fra le altre, ripete una struggente canzone che, intrecciando passato e futuro, accende una nuova consapevolezza del presente: Tu li hai vissuti quei tempi e ora... dimmi, cosa resta?