È la primavera del 1996 a Sarajevo e Hanna Heath, trentenne restauratrice australiana di libri antichi, giunge nella capitale bosniaca devastata da cinque anni di guerra civile e ancora sotto il fuoco dei cecchini. Qualche giorno prima, Hanna ha ricevuto una telefonata da un insigne studioso di antichi manoscritti ebraici. Con voce eccitata, quell'uomo le ha comunicato che durante il pranzo di Pesach, la Pasqua ebraica, il capo della comunità giudaica di Sarajevo ha tirato fuori la Haggadah, il celebre libro di preghiere che si pensava ridotto in cenere sotto i bombardamenti del '92. Hanna conosce bene la Haggadah di Sarajevo: un manoscritto ebraico prodotto in Spagna in età medievale e ricco di variopinte miniature; un'opera così preziosa e fondamentale nella storia dell'ebraismo e dell'umanità che quando, negli anni Quaranta, i nazisti cercarono di impadronirsene, il bibliotecario del Museo di Sarajevo, un musulmano, si era preoccupato di porla in salvo. Hanna si affretta ad accettare l'incarico di restaurare quel sacro testo raro e di grande bellezza, con le sue miniature e i colori ancora puri e vividi, ed è proprio dalla sua voce che apprendiamo la magnifica storia dell'opera: una vicenda fatta di macchie di vino e di sangue, di splendidi fermagli smarriti, di farfalle di montagna, di storie d'amore e di vigliaccheria, di secoli di splendore e di decadenza, e di gloriose città: la Siviglia e la Tarragona del XV secolo, la Venezia del Seicento, la Vienna di fine Ottocento.