Sbilanciato verso la narrativa, il teatro di Bernard-Marie Koltès è uno dei più significativi degli ultimi quindici anni. Teatro emblematico di una condizione esistenziale randagia e periferica. Accanto al suo teatro, unico esempio di narrazione vera e propria che Koltès abbia lasciato nella sua breve vita è questo "Fuga da cavallo lontano nella città", datato 1984. Due ragazze, Félice e Barba, e due ragazzi, Chabanne e Cassius, divengono emblemi di una giovinezza tutta deliri e dolorose dipendenze. Si direbbe la trasgressione la loro bandiera. Essi imboccano una strada di libertà dove però l'allucinazione, un immedicabile infantilismo, denunciano il cerchio stretto di un labirinto senza uscite, senza decoro. Koltès è uno scrittore della paura. Si può fare riferimento a Kafka, ma la tradizione fulgente del surrealismo francese non gli è estranea. Si potrebbe ipotizzare un universo visto attraverso la figurazione dionisiacamente macabra di un Francis Bacon; poi certe chiarezze dolcissime e improvvise parlerebbero di una suggestione più scanzonata e ilare, alla David Hockney quasi. Tutto ciò è segno di un sentimento irreprensibile di contemporaneità, e Koltès si rivela narratore di quell'essere perdutamente figli, desiderosi di pietà e affetti disperati, che segna la condizione dei tanti che oggi incontriamo sui sentieri della vita, mai maturi e non più immaturi.