Seppur non manchino spettri e stregate visioni, non è il soprannaturale di per sé il segno forte di questi racconti di Dickens, ma piuttosto il mistero: mistero di passioni devastanti e maniacali ossessioni, oscuri ed enigmatici presagi di un destino incombente o torturanti memorie di un passato lontano. E ancora, mistero di parole che tornano implacabili a scandire i tempi della vita e i percorsi del racconto, mistero di sguardi e gesti indecifrabili - coprirsi gli occhi con un braccio, seguire compulsivamente con la mano le fibre di una stuoia -, di strani anomali personaggi e di ambigue storie in cui si sfuma il confine tra realtà e allucinazione, ragione e follia, vita e morte. Storie tanto più inquietanti quanto più calate in quel contesto, e linguaggio, "realistico", di cui Dickens è maestro insuperabile, che puntualmente viene smantellato nelle sue labili, illusorie certezze. Alla forza immaginativa di questo contrasto contribuisce il particolare genere di molti dei testi qui presentati, che sono brevi narrazioni in sé compiute inserite nei romanzi (Il Circolo Pickivick, La piccola Dorrit, Un racconto dì due città), con la funzione di spezzare il flusso del reale e, quasi inavvertitamente, passare il testimone da personaggi realistici, comici o convenzionali, a cupe, spettrali figure della trasgressione: pazzi, assassini, padri maledetti e crudeli, spose dementi e disperate. Unico racconto autonomo a tutti gli effetti è lo splendido "Linea secondaria nr. I", "Il casellante", da molti considerato il più bello di Dickens: il tetro buco nero della galleria ferroviaria sul quale balugina a tratti una tetra luce rossa a segnalare un pericolo sconosciuto e palpabile, fantasmatico e reale, può ben essere assunto a immagine-simbolo dello spazio in cui si muovono questi racconti, e in cui vertiginosamente si confondono le nostre luci e le nostre ombre.