"I quindici sciacalli" narra di eventi accaduti, parte in Italia, parte in Germania, tra l'inverno del 1943 e la tarda estate del 1945. Emilio, proletario al primo anno di università, è chiamato alle armi come allievo ufficiale quando ormai le sorti della guerra volgono a sfavore dell'Italia. A seguito dell'arresto di Mussolini e del crollo del fascismo, Emilio e i suoi compagni saranno prima ingannati dai tedeschi con false promesse di ritorno a casa, poi deportati in un lager del Brandeburgo. La terribile esperienza del protagonista si incrocia con quella dei suoi compagni di sventura, tra violenze, crudeltà, umiliazioni e fame, fino alla liberazione a opera dell'Armata Rossa e al ritorno in Italia, tra solidarietà e primi embrioni di dibattito democratico. Nell'ultimo capitolo Emilio, ormai vecchio, fa i conti con il rimpianto di una vita interrotta e poi ripresa con enorme fatica, circondato da disinteresse e incredulità per la prigionia subita. Sarà la nipote Federica, che lo intervista per la tesina di maturità, a far emergere in lui il ricordo di come la "nuova Italia" abbia negato agli Internati Militari Italiani il riconoscimento di due anni di vita perduti e del rifiuto a optare per la Repubblica di Salò. Il testo della ragazza, pur accolto con freddezza dalla commissione esaminatrice, restituirà al nonno il valore civile e politico di quella scelta. E renderà giustizia, almeno sul piano morale, agli ex-IMI chiamati a ricostruire il proprio Paese portando le cicatrici di un oblio tanto assurdo quanto iniquo.