È una mattina azzurra, accecante e senza vento quella in cui il giovane ingegnere minerario Martín Garret Ortiz, spagnolo ma da qualche mese assegnato a una miniera in Messico, sente un rumore di spari dalla sua stanza d'hotel ed esce per strada vinto dalla curiosità. Tanto basta perché s'infili in un destino ritenuto fin lì inimmaginabile. In questo libro è raccontata la sua storia, che a partire da quell'8 maggio del 1911 s'incendia intrecciandosi fatalmente alla rivoluzione contadina guidata da Pancho Villa ed Emiliano Zapata, sullo sfondo di un paesaggio rurale riarso e nudo, a cui si contrappone il formicolio elettrico della capitale, metropoli sprezzante di lusso e miseria. La storia di Martín Garret è un'invenzione magistrale di Pérez-Reverte, qui autentico fuoriclasse nell'ordire, sul tappeto dei drammatici eventi che sovvertirono il Messico d'inizio Novecento, la trama di un'esistenza divenuta straordinaria per scelta e audacia: quella di un ventiquattrenne mite, dagli occhi avidi, che si fa testimone e protagonista di un pezzo di mondo in fiamme, ancora tutto da imparare, abitato da uomini sorretti da un duro senso dell'onore e dell'amicizia, lì dove la vita è ridotta ai suoi schemi elementari, poche le regole ma fisse, pochissime le parole che importa condividere; e lì dove anche ogni donna, tra le continue eruzioni di violenza, s'inventa con tenacia degli argini nuovi: nuovi modi di immaginare, uccidere, ricominciare l'amore.