Le circostanze che hanno portato alla composizione del Concerto per pianoforte in Mi bemolle maggiore K 271 di Mozart sono avvolte nel mistero. L'identità della dedicataria è discussa, come lo è il suo nome, che non è identico neanche nelle lettere dei Mozart (padre e figlio). L'autore sposa la tesi che lei sia stata una valente strumentista del fortepiano, negli anni in cui questo strumento si stava affermando. La dedica rappresenta l'occasione per fantasticare, fra realtà e immaginazione, storia e fantasia, l'incontro con lei a Salisburgo del ventenne Musicista, la creazione di un'opera eccezionale come il Concerto e l'innamoramento del Musicista, non ricambiato dalla ragazza. L'autore "fantastica" addirittura che questo rifiuto sia stato alla base della creazione del mirabile Andantino. Dopo il racconto del loro rincontro a Parigi l'anno successivo e delle sfortunate vicissitudini del Musicista in questa città, la narrazione si snoda con l'incredibile sorpresa che la sconvolge da vecchia, non ritrovando a Vienna la tomba del Musicista, e con l'incontro, che l'autore immagina avvenga fra lei e la più nota dedicataria di una Sonata di Beethoven. Le due donne sono accomunate, con il loro "povero nome" a quello imperituro dei due grandi compositori. I dolci ricordi della giovinezza, della frequentazione con il Musicista, dell'amore inattuato e perduto si alternano nell'ultimo scorcio della sua vita londinese a rimpianti e dubbi, interrogativi e riflessioni, gioie e delusioni. Ma lei non smetterà mai di amare il suo strumento e l'opera che le era stata dedicata. Il lettore è portato a riflettere e meditare sul sentimento della memoria, su quello che nella propria vita si è o non si è fatto, si è voluto o non si è voluto fare ed è coinvolto in un crescendo di attesa e di curiosità della conclusione, che giunge quasi ineludibile, se si pensa alla psicologia del personaggio.