Parigi, 1960: una splendida metropoli, scintillante di elettricità, attraversata da automobili e metropolitane sospese e automatizzate. In questo futuro all'apparenza radioso, sono in pochi ad apprezzare ancora la cultura classica, l'arte, la poesia. Tra questi, il giovane Michel Dufrénoy, che nutre l'ambizione di divenire poeta. Tuttavia, in un mondo in cui l'unica creatività letteraria è quella sponsorizzata dal governo, che si traduce in un teatro becero e creato in serie, trovare un posto per le sue vocazioni sarà impresa complessa. Deciso comunque a mantenersi con la propria arte, Michel scopre presto che il suo libro di poesie è impossibile da vendere ed è costretto a trovare un altro modo per sopravvivere. È solo l'inizio del durissimo corpo a corpo fra uno degli ultimi artisti viventi e una realtà che non ammette occupazioni e talenti considerati inutili. In quest'opera il romanziere che abbiamo conosciuto come cantore delle meraviglie della scienza intuisce come un'economia e una politica che idolatrano la tecnologia possano creare drammatiche storture, a discapito in primo luogo della cultura. Ritenuto troppo pessimista e inverosimile dall'agente letterario di Verne, il romanzo fu ritrovato in una cassaforte oltre cento anni dopo la sua stesura. La sua lettura offre una comprensione rinnovata dell'uomo e dello scrittore Verne, capace come sempre di stupirci con un romanzo avvincente, in cui però il grandioso si tinge dell'umorismo più cupo.