Giovanni, letterato cattolico esule in Francia, e Maria, che ha vissuto a Parigi presso una parente dopo essere rimasta orfana, si incontrano a Quimper, in Bretagna, e si confidano le loro tormentate esperienze sentimentali. Il matrimonio segna l'avvio di una rinascita spirituale: la loro unione, cementata dalla fede, dall'affetto coniugale, dalla ricerca della bellezza, sarà suggellata dalla prematura scomparsa della donna, vissuta come lo sbocco di un processo di purificazione dalle passioni terrene attraverso il dolore e l'espiazione. Per il suo oscillare tra sensualità e moralismo, che non convinse Manzoni («un pasticcio mezzo giovedì grasso e mezzo venerdì santo»), il capolavoro di Tommaseo sembra anticipare le atmosfere del decadentismo, mentre l'originale mescolanza di vari registri stilistici (dal diario all'epistola, dalla confessione alla memoria) ne fa un'opera "eretica" nel panorama letterario del primo Ottocento. Concepito come racconto edificante, "Fede e bellezza" (1840) risulta piuttosto un sofferto romanzo psicologico ampiamente autobiografico che scandaglia il drammatico dissidio vissuto dal suo autore fra istinto e spiritualità, tentazioni sensuali e ansia di sublimazione.