"Sfortunatamente, i biografi di solito hanno creduto di essere degli storici. E così ci hanno privato di mirabili ritratti. Hanno creduto che solo la vita dei grandi uomini potesse interessarci. L'arte del biografo dovrebbe consistere, piuttosto, nel dare lo stesso risalto sia alla vita d'un povero attore che a quella di Shakespeare". È questa la premessa da cui Marcel Schwob parte per realizzare le sue Vite immaginarie, e dunque i personaggi delle ventidue biografie che compongono il libro non sono soltanto uomini (e donne) illustri, come Lucrezio, Paolo Uccello o Cecco Angiolieri, ma anche e soprattutto comparse minori, pirati, donne di malcostume, eretici e assassini, individui pressoché impossibili da trovare nei libri di storia. Abbozzati in pochi tratti sapienti, magistrali per concisione, perfezione formale e densità, questi ritratti si leggono come entrando in un'allucinazione possente: sono "puro hashish... danno fuoco all'immaginazione", dirà il poeta Albert Samain. Quei destini emersi dalle pieghe segrete della Storia non hanno mai smesso di esercitare il loro fascino su intere generazioni di scrittori (Borges, Michon, Schneider, Wilcock, Tabucchi, Bolaño, Reyes...) e di lettori che sanno "leggere nel bianco delle pagine", fra le righe.