La Milano che prende forma in queste pagine è la città opulenta e felice che da capoluogo ottocentesco si va trasformando nella metropoli tutta ferro e acciaio dei primi decenni del Novecento, la «città che sale» ispiratrice di Boccioni. «Con il passo del veroflâneur, provvisto del bulino dell'ironia», come scrive Alberto Rollo nella prefazione, Savinio ne percorre le strade, ne esplora le piazze, ne scopre le chiese, i musei, i palazzi, senza disdegnare i caffè e le osterie: indugia, osserva, ascolta, alla ricerca «dell'anima segreta delle cose». Complice Stendhal, divaga con la leggerezza dell'homme d'esprit: ne racconta luoghi e protagonisti (da Parini a Manzoni a Dossi, da Boito a Verdi), ne svela l'aura di città «tutta pietra in apparenza» che si ammorbidisce nell'intimità dei suoi giardini, ne riconosce con sorpresa l'insospettabile «nota greca». Ma non è un reporter né le sue descrizioni sono fredde istantanee: piuttosto suggestioni che reagiscono con la sua sensibilità di artista che sulla pagina come sulla tela gioca con il mito e la modernità. Affresco fantasmagorico e scintillante, in bilico tra memoria, confessione e capriccio, il taccuino milanese di Savinio è una sincera dichiarazione d'amore alla «più romantica delle città italiane».