La lotta perenne tra sensibilità e crudeltà, tra ingenuità ed erotismo, tra natura e spirito, tra donna e uomo: i racconti di Tagore non si limitano a dipingere con stupefacente maestria le tensioni e le pulsioni che fanno grande ogni grande letteratura; le calano corposamente nel paesaggio materiale e simbolico di un'India coloniale alle prese con la modernità. E per rendere meglio l'allucinata contraddizione, le vestono dei panni di spiriti e di scheletri parlanti, di umanissimi e impalpabili fantasmi. Su tutto aleggia un'aura di mistero, la consapevolezza di quanto l'uomo possa restare prigioniero dei suoi sogni. Ed ecco la sostanza dei suoi racconti, popolati da inquietanti creature che pencolano tra questa e altre vite, e che in preda ai loro tormenti amorosi creano un turbinio di immagini in cui non sempre è la morte ad avere l'ultima parola. All'alba del XX secolo, l'Occidente aveva guardato a Rabindranath Tagore come al padre nobile dell'India e per questo nel 1913 lo aveva voluto Premio Nobel per la letteratura. L'integrazione tra la cultura orientale e l'Occidente era stata una costante della sua opera di intellettuale, che si definiva "il frutto di un incontro fra tre culture: quella induista, quella musulmana e quella britannica". Questa raccolta, di recente pubblicata in traduzione inglese e francese, propone al pubblico occidentale e italiano la prosa di un grande maestro, la cui vena immaginifica si sposa con una straordinaria precisione descrittiva.