Scritto in meno di due mesi alla fine del 1949, "La luna e i falò" è l'ultimo e il più importante romanzo di Cesare Pavese, frutto di una felicità inventiva mai sperimentata dall'autore e ritenuto poi viatico alla sua volontaria uscita dalla vita. Dopo la Liberazione, Anguilla, emigrato vent'anni prima dalle Langhe piemontesi in America, torna al paese dov'è cresciuto. Qui, della gente che sperava di incontrare trova solo Nuto, uno dei suoi più cari amici d'infanzia. Gli altri sono morti o scomparsi senza lasciare traccia, se non nel ricordo di chi è rimasto. In un percorso di riscoperta dei luoghi della sua memoria, Anguilla fa i conti con un mondo che pareva immutabile, ancorato al tempo dei riti e delle stagioni, ma che ha subìto invece l'urto di un altro tempo, quello lineare della modernità, e ne è stato stravolto: di immutato ritrova solo l'ingiustizia sociale, che sembra impossibile sradicare dalla terra. In questo romanzo, che ha contribuito a plasmare il mito di Pavese per generazioni di giovani italiani, l'autore condensa, come disse Piero Jahier, "in una sintesi narrativa tutti gli elementi della propria personalità spirituale".