Novelli Don Chisciotte e Sancio Panza, i protagonisti di questo romanzo - il principe Filippo di Santo Stefano, nobile papalino decaduto, e il suo servo Checco, ciociaro analfabeta - sono impermeabili all'avanzare dei tempi nuovi. Dal giorno di Santo Stefano del 1942 all'Anno Santo del 1950 Roma attraversa uno dei suoi momenti di transizione più delicati, segnato da una borghesia avida e conformista, cui i due oppongono la serenità di chi resiste finché sarà possibile. Palazzeschi, che a Roma arriva nel 1941 e vi trascorre gli anni della guerra e dell'occupazione nazista, e poi il periodo della ricostruzione, il boom, fino a morirvi nel 1974, dedica alla Città Eterna molte poesie, ma l'omaggio più sentito è indubbiamente questo romanzo del 1953, paragonato da Arbasino ai «disegni milanesi» dell'Adalgisa di Carlo Emilio Gadda. Con grande intensità poetica e al contempo un energico senso della realtà, Palazzeschi ci lascia in queste pagine un ritratto sociologico acutissimo di due mondi - quello dell'aristocrazia e quello della plebe - ugualmente destinati a una rapida sparizione, narrati con il suo inimitabile sguardo carico di ironia e di umanissima pietà.