"Giorgio Manganelli non può fare a meno di confessare, nella spiritosa introduzione, una sviscerata e quasi colpevole passione per O. Henry: vizio che definisce 'un poco infantile', paragonabile a quello, in uomini fatti e raffinati, di indulgere a 'modesti dolciumi da fiera'. In realtà non dobbiamo vergognarci di amare O. Henry; pur nella conclamata modestia dei suoi obiettivi, questo scrittore possiede sufficienti risorse di pura destrezza da rendersi ammirevole per chiunque (e chi vuole rimanere subito abbacinato, e ha la fortuna di non conoscerlo ancora, cominci col racconto 'II cocktail perduto': perfetto come un sonetto del Petrarca). Ma a renderlo ulteriormente affascinante è, pur attraverso la vittoriana cortina di perbenismo da scrittore di largo consumo, l'America che fa da sfondo a tutti i racconti, quell'America primitiva, ingenua, ignorante, eroica e commoventemente ottimista poi glorificata da Chaplin e Buster Keaton: America che s'incarna simbolicamente soprattutto nello hobo, nel tramp, ossia nel vagabondo senza radici, che è poi il personaggio a cui, come giustamente Manganelli rileva, O. Henry non si perita mai di strizzare l'occhio, e nel quale si concentra la sua piccola ma non del tutto repressa carica di anarchia." (Masolino d'Amico).