"L'autunno venturo, se vi muove il desiderio d'una gita per quelle bande, o festosi villeggianti della Brianza, non ispaventatevi d'un nome che ricorda, a quanto si dice, la storia d'una principessa del mondo antico morta lì presso di crepacuore, e ricordatevi di visitare il laghetto del Segrino. Se mai sulle sue rive incontraste due belle donnine, l'una rosea e bionda come un angiolino di Paolo Veronese, vestita modestamente da damina campagnuola, l'altra bianca e melanconica dagli occhi neri e soavi, acconciata alla contadinesca, salutate di cuore a nome mio la Camilla e la Celeste". Così Ippolito Nievo chiude "La pazza del Segrino", la breve novella campagnola ambientata lungo le rive della piccola e verde bacinella adagiata nelle prealpi lariane, dove "piramideggiano erti e nebbiosi i così detti Corni di Canzo". Celeste, la pazza, è una emanazione del Segrino: è una creatura che pare trovare in quel lago senza increspature una risposta al suo misterioso modo di guardare le cose. La "bell'acqua", richiamo irresistibile per Celeste, è la cifra di una bellezza imperfetta che è anche idealità morale.