Trame vive, linguaggi nuovi, arditismo a profusione: "L'alcova d'acciaio" è forse il "romanzo futurista" più apprezzato e diffuso. Filippo Tommaso Marinetti lo vergò tra il 1919 e il 1920, raccontando - in una narrazione che unisce il rigore della verità storica all'anarchismo creativo delle "parole in libertà" - l'epopea della Grande Guerra, da lui vissuta in prima persona. In queste pagine - dove l'amore e il combattimento si mescolano all'arte e alla storia, rifiutando ogni intellettualismo e ogni deriva borghese - prende forma l'eroismo italiano, resistente sul Piave e trionfante a Vittorio Veneto: un viaggio mistico e sensuale, vero e fantastico, tenero e feroce. "Sono preso dalla gioia di scoprire una nuova legge. Trovo, nel momento più pericoloso di una battaglia, la soluzione di molti problemi che i filosofi non potranno mai scoprire nei libri. Poiché la vita non si svela che alla vita. Il segreto amplesso del passato e del futuro si rivela a coloro che tutto il passato hanno vissuto, sudato, pianto, baciato, morso e masticato e che vogliono fra le carezze o le gomitate della morte vivere, baciare, masticare e soffrire il loro futuro".