La via regia della letteratura "caprese" - una letteratura che, a onta della risibile estensione geografica del luogo che l'ha originata, è abbondantissima - ha in "Vestal fire" una ineludibile pietra miliare. Pochi libri interpretano con pari brillantezza e vivacità l'autentico spirito del tempo; e questo, più dello stesso "South wind" di Norman Douglas, che lo precede di un decennio esatto (1917-1927), è forse il romanzo "caprese" per eccellenza: leggero, arguto, deliziosamente impertinente; un piccolo capolavoro di britannica perfidia, degno di figurare in un canone ideale accanto alle opere "mediterranee" di Somerset Maugham ed Evelyn Waugh. Se "South wind" fu una sorta di manifesto della libertà mediterranea, e rappresentò un irresistibile richiamo per un'intera generazione di più o meno divini fuggiaschi; se fu dunque un libro della sostanza eminentemente "filosofica", "Vestal fire" rimane l'autorevole documento di un'epoca, e insieme la prima compiuta formalizzazione letteraria di una mentalità, di un costume, di una moda che per lunghi anni hanno avuto in Capri il loro preciso referente.