«Perché siamo come tronchi d'albero nella neve. In apparenza vi poggiano sopra, e con una piccola spinta si potrebbero spostare. No, non si può, perché sono saldamente congiunti al terreno. Ma guarda, persino questo è solo apparenza». Nel centenario della morte, il folgorante esordio letterario di Franz Kafka. Quando, nel dicembre 1912, appare Contemplazione, il primo libro del ventinovenne Franz Kafka, non è solo l'abnorme dimensione dei caratteri - voluta dall'autore - a impressionare i lettori come qualcosa di inusitato, perché le brevi, a volte brevissime prose che lo compongono, sottraendosi a qualsiasi definizione, sono come stranianti quadri poetici in cui c'è già tutta l'originalità e la potenza dell'opera di Kafka, condensata in una scrittura tesa, abbagliante. È una scrittura-confessione, una scrittura a suo modo impudica per troppo mettersi a nudo, una scrittura visionaria capace di scardinare sintassi, logica e l'idea stessa di letteratura, che pure in quegli anni si sta aprendo, con esiti anche dirompenti, allo sperimentale e alla rottura con la tradizione. Ma la voce di Kafka, già allora, brilla altissima nella sua unicità. Esordio letterario di Franz Kafka (1883-1924), Contemplazione (Betrachtung), raccolta di diciotto brevi prose - otto delle quali apparse in precedenza nella rivista «Hyperion» di Monaco -, uscì nel 1912 presso l'editore Rowohlt di Lipsia. Nella Nota al testo di questa edizione Roland Reuss, tra i massimi studiosi di Kafka, ricostruisce puntualmente la genesi del libro. «In Contemplazione ... c'è qualcosa della coscienziosa malinconia con cui un pattinatore su ghiaccio esegue le sue lunghe giravolte e figure. C'è una grandissima padronanza artistica» (Robert Musil).