Pubblicato nel 1945, a ridosso della fine della guerra, "L'impero in provincia" è una raccolta di sei racconti in cui Francesco Jovine, con grande maestria, affianca al consueto realismo una sferzante satira del regime fascista, che con la sua violenza e la sua illusoria propaganda di un "impero italiano" era stato tra i principali responsabili delle orrende ferite che ancora laceravano il paese. Nei racconti, fra loro intrecciati fino a formare una sorta di grande affresco del mondo contadino dagli esordi del fascismo alla Liberazione, vediamo sfilare un'intera galleria di personaggi: ecco allora il gruppo di camicie nere che si organizza (La vigilia) e va alla disperata ricerca di un qualunque catafalco cui rendere omaggio secondo le direttive del Partito (Il monumento storico); e il barbiere-soldato che si lascia convincere ad arruolarsi per la guerra di Spagna con l'illusione di facili guadagni per poi tornare con un braccio in meno e un figlio in più, nato in sua assenza (Michele a Guadalajara); e ancora la vecchia contadina che, dalle fronde di un albero, ingaggia una strenua lotta con chi cerca di sottrarle il suo maiale, unico tesoro che le è rimasto dopo il celebrato dono dell'"oro alla patria" (Martina sull'albero). Il tratto comune con le opere precedenti è l'emarginazione di un mondo - il suo Molise - e della sua gente, che sta all'origine dell'atavica diffidenza verso uno Stato che, dopo aver abbandonato un intero popolo all'efferata violenza dell'occupazione tedesca (La casa delle tre vedove), si prepara ora di nuovo a imporre la propria presenza con l'estraneità delle sue leggi: «Ritorna la legge [...] a che serve la legge? Ecco tu zappi e mangi e viene Cialanga dalla Puglia e ti porta il vino e bevi. Invece arriva la legge e ti spoglia...» (La rivolta).