Esopo ha inventato la favola, ma è stato Fedro ad affinarla, a imporle le leggi del metro, a conferirle la dignità del verso consegnandola ai fasti della letteratura. Per Fedro la favola è un mezzo d'espressione che consente, a chi è schiavo o liberto come lui, di dire la verità ammantandola sotto la copertura di un traslato. La sua è una morale acre, cupamente rassegnata alla sconfitta sociale, pervasa da un pessimismo amaro. Osteggiato in vita, Fedro fu quasi del tutto ignorato anche dopo la morte: scrivendo della favola, tanto Seneca quanto Quintiliano tacciono ostinatamente il suo nome, riscoperto solo molto più tardi dietro l'ombra troppo ingombrante del più celebre Esopo. Giove ci buttò addosso due bisacce; una, piena dei nostri vizi, l'adattò sulle spalle, l'altra, pesante dei vizi altrui, davanti al petto. E noi, per questo, non possiamo vedere i nostri errori; quando gli altri sgarrano diventiamo censori. Introduzione di Alberto Cavarzere.