«Tu sai cos'è un cambio di tonalità musicale», scrive Dostoevskij al fratello Michail il 14 aprile del 1864, «ecco, qui è la stessa cosa. Nel primo capitolo sembra che non ci siano altro che delle chiacchiere, poi, d'un tratto, queste chiacchiere si trasformano in un'improvvisa catastrofe.» La catastrofe cui Dostoevskij si riferisce è quella del protagonista diMemorie del sottosuolo: un uomo senza nome e senza qualità, «né cattivo, né buono, né disonesto, né onesto, né un eroe, né un insetto». Un uomo frustrato e orribilmente infelice, pieno di rancore e risentimento nei confronti di un mondo ai suoi occhi spregevole, che pur consapevole di cosa sia il bene sprofonda sempre più in uno stato di fredda, velenosa cattiveria, tra desideri insoddisfatti e propositi di vendetta. In queste pagine, in cui il soliloquio si alterna a sconnessi ricordi di episodi della sua vita, si abbandona a una tormentata confessione mettendo a nudo impietosamente la propria anima. Senza alcun timore di affondare il coltello nella piaga, ma anzi ricavando dalle umiliazioni, dalla degradazione e dalla sofferenza un morboso piacere, rinuncia a ogni difesa e ci restituisce, come in uno specchio, il riflesso di ciascuno di noi, prigionieri come il protagonista delle nostre contraddizioni e condannati a convivere con gli orrori del nostro privato sottosuolo