Romanzo, saggio divulgativo e libro autobiografico al tempo stesso, quest'opera di Dostoevskij ritrae la vita dei condannati in un campo di prigionia siberiano, dove aveva vissuto in prima persona in esilio. Scritto nella forma del diario, lo scrittore russo nella prefazione ne attribuisce la paternità a un recluso immaginario accusato di omicidio. Il libro arriva a riflessioni di ampio respiro sulla condizione umana: i reclusi condannati ai lavori forzati che popolano le celle, i carcerieri e le figure del popolo russo sullo sfondo vengono così splendidamente descritti da far emergere la loro nascosta umanità, i loro sentimenti più profondi, i loro intimi segreti o tragiche colpe. Dostoevskij accompagna il lettore in mezzo ai "dannati" (fra cui regna quella "morte" invocata nel titolo), portando alla luce quella scintilla di umanità che emerge fra i sentimenti più profondi dei prigionieri, fra i loro intimi segreti o tragiche colpe.