"Alice nel paese delle meraviglie" non è solo un romanzo per ragazzi, è la favola di tutti noi: il Coniglio Bianco e la Duchessa, il Topo, il Dodo e il Lorichetto, il Bruco e il Gatto, il Leprotto Marzolino e il Cappellaio Matto, il Re e la Regina di Cuori, la Finta Tartaruga e il Grifone, esistono nel nostro immaginario collettivo. Un immaginario nel quale poco importa la differenza fra ciò che è reale o fantastico, fra ciò che ha un senso perduto o uno ritrovato, fra ciò che rispetta le regole oppure le infrange, fra il tempo del momento e quello che verrà: il senso dell'avventura di Alice è «misurarsi con un mondo in continua metamorfosi - spaziale, visuale, linguistica - in cui il suo corpo e la sua stessa identità sono costantemente in trasformazione» (dall'Introduzione di Franco Lonati). Un divenire grandi - e divenire se stessi - nel quale tutto cambia tranne la "meraviglia": lo stupore della vita, e dell'opera d'arte, che si sprigiona dalle parole di Lewis Carroll e dalle illustrazioni di Salvador Dalì.