Lo «scapigliato» Achille Giovanni Cagna, giunto a quarant'anni, pubblicò alcuni romanzi estrosi, veri assalti agli schemi narrativi in cui l'eredità manzoniana sembrava dover rinchiudere la lingua italica del secondo '800. "Alpinisti ciabattoni" (1888) è il suo capolavoro: un'esilarante «descrizione dei malanni e degli inconvenienti della villeggiatura» di una matura coppia di bottegai in vacanza sul lago d'Orta. Un'irresistibile odissea di fastidi e seccature, nel bel mezzo di un'umanità vacanziera descritta con sapido umorismo nei suoi comici vezzi, attraverso una lingua irrequieta, ricca di invenzioni, dialettismi e purismi spiazzanti. Amato da Croce, Montale (che ne esaltò la «lingua vistosa che dipinge a guazzo») e Calvino (che lo inserì nella collana Centopagine di Einaudi), "Alpinisti ciabattoni" è un capolavoro da rileggere con gusto, in quella «linea macaronica» della letteratura italiana che da Faldella conduce a Gadda (anche lui, del resto, lettore entusiasta del romanzo). Con una lettura di Gianni Oliva.