In un panorama epico fatto di deserti, harem e labirintici agglomerati urbani traboccanti di vita e di miseria, si dipana la storia di due anime schiave, portate l'una nelle braccia dell'altra da un destino nato e cresciuto per restare eterno. Lei è Dodola: bambina, poi donna, poi madre imprigionata in un mondo di uomini. Lui è Zam, orfano che nella ragazza - e nelle storie della cultura e della mitologia islamica con cui lei lo crescerà - troverà un amore assoluto, viscerale, indispensabile. Dai miseri villaggi a sud della prosperosa Wanatolia, al deserto popolato di nomadi e criminali, all'opulenza del Palazzo del terribile Sultano, Habibi ("mio amato") traccia nelle morbide curve della calligrafia araba una parabola sul nostro rapporto col mondo naturale, sull'abissale divario tra primi e terzi mondi, sull'eredità comune di cristianesimo e islamismo e, soprattutto, sulla magica, insostituibile forza del racconto.