Dell'autore di queste note, quelle scritte sul pentagramma e quelle che ne accompagneranno l'ascolto, si possono dire una quantità di cose. Credetemi, perché lo conosco da così tanto tempo da averne scoperto e apprezzato pregi e difetti. Per restare in ambito musicale, a proposito di Paolo Paglia bisogna dire - anzi premettere a ogni ulteriore considerazione - che il suo approccio nei confronti di questa Musa è patologicamente onesto. Da sempre. Non lo dico da addetto ai lavori. Non sono un musicista, ma sono un appassionato fruitore della meraviglia, della poesia e della bellezza che la musica ci mette a disposizione. Certamente quella 'classica' ma non solo. Quello musicale è un linguaggio talmente trasversale, forse universale, che consente all'ascoltare che abbia un cuore battente a valle dei timpani un trasporto emotivo raro, coinvolgente e appagante. Una 'bellezza grande' che in tanti e tanti anni l'amico Paolo non ha mai trascurato o sottostimato. Quando afferma 'di avere solo e sempre servito la musica' potete essere certi che dice il vero. Anche questo nuovo lavoro nasce dalla stessa motivazione e prosegue un cammino, non sempre agevole, che dura da decenni. Per certi versi rappresenta un punto d'arrivo, essendo lo 'Stabat mater' una scrittura complessa e impegnativa per ogni compositore che si mette alla prova con la spiritualità drammatica del tema della sofferenza, della morte e del distacco. Un tema e una sfida che si raccoglie, sia per darne un'interpretazione canonica sia per sottolineare il dolore 'laico' dell'archetipo di tutte le madri, solo quando si è consapevoli della propria capacità di trasferire sul pentagramma tanta complessità emotiva." (dalla presentazione di Giuseppe Malò)