"Ogni cosa ha il suo tempo". Le sento da sempre queste parole, e ogni volta provo la stessa sensazione: puntuale, una sottile amarezza si fa largo come se in una sorta di ammonimento, il mondo rammentasse la fatuità di questo nostro esistere. Poi, a volte, tra le rughe di queste nostre vite, ti imbatti in qualcosa o in qualcuno che per un attimo quelle parole le sconfessa, portandoti ad un inesprimibile e accattivante, seppur momentaneo, compiacimento tutto interiore. Sono istanti, quelli, che sembrano letteralmente tradirlo, il tempo, neutralizzarne l'implacabile influsso, in una sorta di liberazione dalla ferrea legge del prima e del dopo. Ascolto i Cavern Boys da molti anni, e ogni volta, immancabile, quella sensazione torna a farsi viva. Loro, lì davanti, con le loro note e il piacevole svanire di quelle cose che rammentano la tirannia del quotidiano, in una sorta di trionfo del passato che collìma mirabilmente con il presente.