Fabrizio parla di politica, d'arte, di economia e le sue parole prendono la forma d'insegnamenti. Non lezioni, ma sommesso argomentare da "maestro di vita". Come nelle sue canzoni, traspare così l'impronta della sua anima, l'ansia di giustizia mai venuta meno e il sogno, sempre coltivato, dell'anarchia. Chi ha conosciuto Fabrizio De André sa che con lui si poteva parlare di tutto ed apprendere; mai una cosa sola: suonare, mangiare, discutere, bere, fumare; con lui, molto semplicemente, "si viveva". A queste conversazioni fa da sfondo il clima culturale e politico degli anni Settanta-Ottanta, col forte incremento dei nuovi poveri, immigrati, zingari, ai margini di quella società che Fabrizio aveva definito "l'economia del dono". In mezzo le opere del cantautore-poeta, quelle canzoni che, attraverso le storie di molti eroi "al contrario", in una magica fusione tra musica e versi, ci hanno fatto conoscere la sopraffazione dei forti, le loro e le altrui miserie, le tante solitudini di uomini e donne, la guerra, la follia, la morte.